"L'uomo è come un pescatore saggio che gettò la rete in mare e la ritirò piena di piccoli pesci. Tra quelli il pescatore saggio scoprì un ottimo pesce grosso. Rigettò tutti gli altri pesci in mare, e poté scegliere il pesce grosso con facilità. Chiunque qui abbia due buone orecchie ascolti!"
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L'impatto di 5 giorni di guerra sul sistema energetico mondiale

L'oleodotto Baku-Tiblisi-Ceyhan e il progetto
concorrente che coinvolge la Russia.

Il breve conflitto armato nel Sud Ossezia avrà serie e durevoli ripercussioni mondiali. La crisi ha infatti influito in modo particolare sulle infrastrutture del settore energetico. Al momento è difficile dire se si verificheranno cambiamenti sostanziali nel panorama energetico delle aree del Caspio e del Medio Oriente, ma il tipo di reazioni immediate, registrate tra gli esportatori e nei Paesi di transito, dimostrano che il fattore militare è destinato a giocare un notevole ruolo nella valutazione sia dei singoli progetti energetici sia del potenziale di queste regioni, nell’ambito della politica energetica globale.

Inoltre è chiaro che il fulcro del conflitto nel Sud Ossezia non si limita a inceppare le direttrici utilizzate per trasportare petrolio e gas dall’area del Caspio. La situazione dovrebbe essere analizzata partendo da una prospettiva più allargata: la Russia si è risolutamente fatta avanti per riguadagnare le proprie posizioni nella regione del Caspio e il controllo sulle strade lungo le quali viaggia l’energia rappresenta uno degli aspetti della questione.

Le ostilità nel Sud Ossezia hanno provocato una nuova guerra di informazioni tra la Russia e gli Usa; guerra che è incentrata soprattutto sul controllo del petrolio e del gas che escono dall’area del Caspio. Le espressioni di scetticismo, da parte russa, nei confronti di parecchi progetti riguardanti l’energia – primo fra tutti il condotto petrolifero Baku-Tibilis-Ceyhan costruito grazie al sostegno finanziario e politico degli Usa – spesso sono recepiti dal governo americano come dei tentativi deliberatamente volti a screditarlo.

Di conseguenza, Washington reagisce male a qualsiasi critica in merito ai collegamenti Trans Caucasici originariamente progettati per tagliare fuori la Russia. “Abbiamo importanti interessi strategici in gioco in Georgia, e in particolare ci preme che continui regolarmente il flusso di petrolio attraverso il condotto Baku-Tibilisi-Ceyhan che di recente ha subito un attentato dinamitardo da parte della Russia” ha dichiarato il candidato alle presidenziali sen. John McCain. E ha chiesto che gli Usa, insieme ai governi di Baku e di Ankara, collaborino per la sicurezza di questo importante collegamento petrolifero: “Gli Usa dovrebbero lavorare con l’Azerbaijan, con la Turchia e con altri paesi amici interessati al condotto petrolifero, per stendere un piano che assicuri in modo efficace la salvaguardia del condotto Baku-Tibilisi-Ceyhan”.

Adesso il clima politico nel quale gli Usa fanno appello ai propri alleati tradizionali ed a quelli acquisiti di recente è diverso da quello precedente la guerra nel Sud Ossezia. Numerosi fattori nuovi stanno portando a nuovi equilibri di forze nella regione del Caspio.

Il fattore Turco

Secondo il solito stile americano, il sen. McCain sta gettando tutta la colpa sulla parte sbagliata. In effetti il condotto petrolifero Baku-Tibilisi-Ceyhan è stato danneggiato di recente, ma non da una bomba russa. In realtà è stato bloccato da un attacco terroristico lanciato dai Kurdi in risposta all’incursione armata Turca nella parte nord dell’Iraq.

La chiusura del condotto Baku-Tibilisi-Ceyhan costa alla Turchia 300 mila dollari al giorno. I proventi del passaggio del dotto, dall’avvio del flusso petrolifero, nel maggio 2006, hanno reso 2,6 miliardi di dollari, ma in seguito all’attentato terroristico Kurdo, il petrolio ora deve essere preso a fine dotto, dalla riserva di Ceyhan, che in questo modo è stata in larga parte svuotata.

I Turchi sono anche preoccupati per le reazioni degli esportatori dell’Azerbaijan e del Kazakistan. Questi infatti hanno chiesto immediatamente alla Transneft russa un condotto aggiuntivo per mandare il loro petrolio attraverso il territorio russo sino al porto di Novorossiysk.

Anche la breve interruzione dei proventi del passaggio del condotto è stato un brutto colpo per Ankara che ha valutato gli incassi del Baku-Tibilisi-Ceyhan una parziale compensazione per il supporto dato agli Usa nell’operazione “Tempesta nel deserto” del 1991. Sino al 2003, anno dell’invasione americana, le sanzioni imposte all’Iraq dopo l’operazione “Tempesta nel Deserto”, sono costate alla Turchia 80 miliardi di dollari per la perdita dei proventi del condotto petrolifero Kirkuk-Ceyhan e per il blocco di ogni commercio con l’Iraq.

Perché questo non si ripeta, la Turchia ha avuto un ruolo molto attivo nella pacificazione in Georgia. Il primo ministro Turco, Recep Erdogan, si è recato in visita a Mosca per incontrare il presidente D. Medvedev ed il primo ministro Putin. Erdogan ha espresso il proprio supporto alle azioni intraprese dalla Russia. La Turchia è fortemente interessata a che nel Caucaso si instauri un sistema stabile perché è proprio attraverso quest’area che passa la maggior quantità di petrolio e di gas. Erdogan ha detto al presidente Medvedev che lo scopo della sua visita era di dimostrare alla Russia la solidarietà della Turchia.

Ankara a sua volta si trova in una situazione difficile ora che l’Occidente ha dimostrato con quanta facilità può ignorare gli interessi della Turchia. Avendo occupato l’Iraq, gli Usa hanno permesso che al nord si creasse, di fatto, uno stato Kurdo indipendente che è diventato la patria del separatismo Kurdo. L’Europa continua a negare l’ammissione della Turchia nell’Unione Europea. Infine i recenti avvenimenti in Pakistan, dove l’Occidente e in particolare gli Usa hanno abbandonato il loro alleato di sempre Gen. Pervez Musharraf, hanno fatto si che la Turchia mettesse in discussione una politica esclusivamente filo occidentale.

La Turchia deve quindi cercare un quadro di riferimento alternativo e pensare alla propria sicurezza e all’architettura della regione tra le cui funzioni vi è la salvaguardia delle vie attraverso le quali passano petrolio e gas. Questo è il motivo che ha portato la Turchia a sostenere la Russia nella sua missione di pace nel Sud Ossezia, e non solo a livello verbale, le navi da guerra americane dirette in Georgia non possono passare nelle acque turche finchè non si sarà conclusa la fase cruenta del conflitto.

L’ira di Ankara, sorta dal fatto che la politica Usa tende a destabilizzare la regione, non costituisce una valida ragione per presumere che la Turchia stia per fare un passo decisivo allontanandosi dalla Nato e dall’Occidente. Nondimeno, dal punto di vista degli interessi turchi, i piani di Washington per la suddivisione dell’Iraq tendono ad acuire il separatismo Kurdo. Ovviamente l’Iraq non è il solo Paese a risentire l’effetto della presenza della popolazione curda in quanto i curdi vivono sparsi in tutto il territorio che dal Caucaso arriva sino al Medio Oriente e la Turchia inevitabilmente rappresenta il loro obiettivo prioritario.

Il fattore Iraniano

La preparazione per l’offensiva della Georgia contro l’Ossezia del Sud e in parallelo l’arrivo della marina da guerra americana nel golfo persico, sono stati considerati da molti analisti (specialmente a Teheran) come un preludio all’attacco Usa contro l’Iran. In base all’attuale situazione la devastazione delle infrastrutture militari della Georgia da parte dell’esercito Russo fa della Georgia una base di partenza molto meno probabile per un’operazione diretta all’Iran e quindi questo riduce la minaccia di un conflitto armato Usa-Iran. Per di più l’Iran ha colto l’occasione, aperta dai piani di sviluppo per il Caucaso, per rafforzare la propria posizione nell’ambito del mercato energetico europeo.

I combattimenti nel Sud Ossezia stavano procedendo quando il dr. Hojatollah Ganimifard, direttore delegato agli investimenti della National Iranian Oil Company, ha detto che il segmento georgiano del condotto petrolifero Baku-Tibilisi-Ceyhan non era meno vulnerabile del tratto turco e che il blocco della sua operatività serviva per rivedere e sistemare la sicurezza dell’intero progetto e del suo contesto. Secondo Ganimifard, il condotto iraniano per l’export, Neka-Jask, dovrebbe servire come via alternativa al condotto BTC (Baku-Tibilisi-Ceyhan). Il ministro iraniano del petrolio Hossein Nogrekar-Shirazi ha annunciato che è in corso uno studio di fattibilità per questo progetto. Di recente la Russia e il Kazakhstan hanno fatto capire di essere pronti a collaborare al progetto.

L’Azerbaijan, che ha avuto problemi a spedire il proprio petrolio in Occidente, si è rivolto all’Iran per trovare nuove strade percorribili. Il giornale “Iran News” il 26 agosto scorso ha riportato la notizia del primo passaggio di una partita di petrolio proveniente dall’Azerbaijan.

Inoltre l’Iran sta aumentando la propria pressione sull’Europa nell’ambito della formula del “supporto politico per l’energia”. A giudicare dall’intervista rilasciata dal capo della “Nabucco Gas pipeline international”, Reinhard Mitschek, la grande fame di gas offre all’Iran l’opportunità di farsi ascoltare in Europa. Secondo Mitschek, studi di mercato dimostrano che gli esportatori potenziali necessitano più del 100% della capacità della Nabucco (sino a 31 miliardi di metri cubi di gas naturali l’anno). L’Europa è interessata ad acquistare il gas dall’Azerbaijan, dal Turkmenistan, dall’Iraq e dall’Iran. Dato che l’Azerbaijan e il Turkmenistan non hanno riserve sufficienti per rifornire un grande gasdotto, l’Iran rimane l’unica potenziale risorsa anche per i massicci investimenti che sono stati erogati da questo paese per la produzione di gas.

Il fattore Israele

Gli interessi israeliani toccati in vario modo dal conflitto nel Sud Ossezia, sono molteplici e contraddittori. Da un lato Israele ha inviato in Georgia istruttori e armamenti. Dall’altro Israele non vuole assolutamente rovinare le proprie relazioni con la Russia e ciò è in larga parte dovuto al desiderio di assicurarsi la propria energia. Situato nell’area che è la principale produttrice di petrolio del mondo, Israele non ha riserve petrolifere proprie e deve importare la benzina. Dato che Israele non ha la possibilità di importare petrolio dai paesi Arabi suoi vicini, questo le viene inviato da fornitori che sono al di fuori del Medio Oriente. Attualmente l’80% dei 300.000 barili al giorno di petrolio di cui Israele ha bisogno vengono forniti dalla Russia.

Per diminuire la propria dipendenza dalla Russia, Israele sta cercando di avere petrolio dal Caucaso e Gas dal Turkmenistan attraverso il terminal di Ceyhan. Sono in corso intense trattative tra Israele, Turchia, Georgia, Turkmenistan e Azerbaijan per la costruzione di un nuovo condotto in Turchia per trasportare il petrolio e il gas sino al Mar Rosso, al terminal di Ashkelon e Eilat. Il petrolio potrebbe essere spedito dai terminal sino al Medio Oriente attraverso l’Oceano Indiano.

La capacità di questo corridoio è comunque destinata ad essere limitata per la difficoltà che navi cisterna più grandi incontrerebbero nell’attraversamento dei canali del Bosforo e di Suez. Tuttavia, collegando il BTC con il condotto Ashkelon-Eilat si potrebbero aprire nuove opportunità per giungere ad una rapida crescita del mercato energetico asiatico. Il progetto è abbastanza realistico e non dovrebbe essere eccessivamente costoso. L’Azerbaijan e la Turchia si sono detti interessati, ma l’ostacolo chiave rimane la sicurezza del condotto BTC.

Quanto detto spiega le contraddizioni della posizione israeliana in merito alla situazione della Georgia. E le minacce di Tel Aviv nei confronti dell’Iran non aiutano Israele a collegarsi al nuovo condotto petrolifero diretto all’Asia, dato che lo stretto di Hormuz verrebbe tagliato fuori immediatamente in caso di conflitto con l’Iran e il segmento del dotto subirebbe un blocco. Di conseguenza ora Israele ha davanti un dilemma: seguire il realistico progetto per un condotto che unisca quello del BTC al tratto Eilat-Asia o confrontarsi con la Russia e l’Iran nell’interesse di Washington e ponendo a rischio la sicurezza energetica di Israele.

Il fattore russo

Il giornale “Utro.ru” il 27 agosto ha scritto che la decisione della Russia di riconoscere il Sud Ossezia e Abkhazia dimostra con assoluta chiarezza l’ingresso del paese in un grande gioco geopolitico il cui perno è il nuovo ruolo e la nuova posizione della Russia nell’attuale contesto mondiale.

Poiché è andata a proteggere i propri cittadini nel Sud Ossezia, la Russia si è anche imposta quale unico corridoio stabile e sicuro per collegare l’Europa, l’Asia centrale e la regione del Caspio.

Quando il condotto petrolifero Baku-Tibilisi-Erzerum ha smesso di erogare petrolio in seguito al blocco del BTC e del tratto Baku-Supsa, la Georgia, in quanto paese di transito, si è attirata un altro round di critiche da parte della comunità degli esperti. Il rapporto “La Turchia e i problemi con il BTC” presentato dalla Fondazione Jamestown il 13 agosto, dice “…..le conseguenze a lungo termine della crisi pongono in netto rilievo la presunzione dell’Occidente nell’espediente di usare il territorio della Georgia per progetti relativi al petrolio e al gas naturale senza tenere in considerazione il punto di vista di Mosca”.

All’Europa non piace vedere che Mosca ha di nuovo il controllo sul transito del petrolio e del gas nella regione del Caspio. Le altre possibilità in merito sono un confronto o un nuovo sistema di relazioni con la Russia. L’Occidente sta minacciando Mosca con lo spettro di “una nuova guerra fredda”, ma non ha alcuna intenzione di ridurre il commercio con la Russia e, di conseguenza, la cooperazione in campo energetico. Il cancelliere tedesco A. Merkel ha detto che il conflitto in Georgia non influisce sul progetto del condotto petrolifero Nord Stream (Corrente del Nord) la cui strategica importanza per l’Europa ha ribadito durante la sua visita in Svezia il 26 agosto. I media europei hanno espresso riserve in merito al potenziale europeo in un confronto con la Russia sul problema energetico. “Le Monde”, ad esempio, il 27 agosto ha scritto: “Alcuni esperti criticano le strategie dell’Europa definendole troppo aggressive e mettono in guardia contro nuovi errori. Bisogna capire che la Russia è una minaccia energetica e che circa l’intera quantità del gas fornito all’Europa nei prossimi 30 anni sarà o russo o iraniano”.

Titolo originale: "Impact of Five-Day War on Global Energy"
DEL PROF. IGOR TOMBERG - Fonte
Global Research
Tratto dal sito ComeDonChisciotte

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